Le evidenze storiche della pianta di fico permettono di tracciarne la storia risalendo a ben 11.400 anni fa. Nel 2006, infatti, ne sono stati ritrovati dei resti nello scalvo di Gilgal, il che ha annoverato la tesi secondo cui i fichi siano originari della Mesopotamia, della cosiddetta Mezzaluna fertile.
Sappiamo che già i Greci utilizzavano la ficina come coagulante per la produzione del formaggio e per intenerire la carne; gli atleti ne erano dei grandi consumatori, ma forse mai quanto Platone, passato alla storia come mangiatore di fichi, convinto com’era che rinvigorissero l’intelligenza. Sempre presso i Greci erano considerati afrodisiaci e, senza dubbio, questo legame con la sfera intima è continuato per secoli, se pensiamo come la medicina popolare consigliasse alle coppie sterili di mettere una foglia di fico sotto al cuscino per stimolare il concepimento. La stessa foglia che, nell’iconografia, spesso vediamo posta a coprire le pudenda di Adamo ed Eva, cacciati dal Paradiso terrestre: a molti questo ha fatto pensare che l’albero dell’Eden non fosse un melo, ma un fico. E che questa pianta avesse un valore sacro lo confermano i Romani, secondo i quali la cesta di Romolo e Remo, dopo essere stata trasportata dalle acque dell’Aniene in piena, si era arenata nella palude del Velabro, sotto un fico sacro a Marte, loro padre. Era il fico ruminale, nome che poi passò a indicare anche altri alberi che furono oggetto di venerazione, come il fico benaugurale piantato nel Foro romano e rimpiazzato ogniqualvolta moriva, di cui parlano sia Plutarco sia Plinio. A dire il vero i Romani stessi erano molto ghiotti di fichi ed erano soliti consumarli, conditi con il miele, a Capodanno. Il grande cuoco Apicio, per preparare il gustoso fegato alla brace, era solito ingrassare i maiali proprio con i fichi: il suo trucchetto divenne prassi, tanto che il fegato, che in latino era indicato dalla parola iecur, piano piano cominciò a essere indicato con il termine ficatum. Ed è così che è giunto fino a noi.