Originario della Mesopotamia come molte prelibatezze che caratterizzano i nostri orti e le nostre tavole, l’asparago si diffuse nel bacino del Mediterraneo grazie agli Egizi. Riscosse fin da subito un ampio successo, tanto che Teofrasto lo cita già nel III secolo a.C. nella sua Storia delle piante. Catone, nel De agri cultura, ne descrive addirittura le tecniche di coltivazione e di impianto: un discorso da tecnico a cui fa da controparte il poeta Marziale che, elogiandolo, consiglia di consumare la varietà coltivata sul litorale di Ravenna.
I Romani, anche se nutrivano giudizi contrastanti – sulle donne le radici, legate addosso, avrebbero agito come contraccettivo, mentre il consumo era consigliato agli uomini per accrescere l’eros – ne erano talmente ghiotti che avevano inventato delle navi apposite per trasportarli. L’Asparagus giungeva così a Roma carica dei prelibati germogli – asparagus deriva infatti da asparag, parola persiana che indica il germoglio, poi recepita dal greco come aspharagos – che venivano solo scottati in acqua bollente, come narra Svetonio nel De vita Cesarum. Proprio Cesare era solito mangiarli conditi con il burro, mentre Augusto, per suggerire che qualcosa dovesse essere fatto celermente, sentenziava «celerius quam asparagi cocuntur».
In seguito, sebbene la Scuola Medica Salernitana ne riconoscesse alcune proprietà, nel Medioevo gli asparagi vennero trascurati. Ricomparvero nel 1400 in Germania, Olanda e Polonia e questa tradizione arrivò fino al 1700, quando alla corte reale scoppiò una vera e propria ossessione per gli asparagi. Luigi XIV, infatti, li apprezzava assieme all’uovo alla coque, e il giardiniere reale, per accontentarlo, si attrezzò per coltivarli in serra, sotto a un caldo strato di letame. Gli asparagi divennero erano talmente amati che furono addirittura creati numerosi piatti da portata per poterli servire nelle maniere più disparate.